Tra attesa e miracolo – Chiesa di Chora

Varcare la soglia della chiesa di Chora significa entrare in un mondo di sfolgorante bellezza. La testa si leva spontaneamente all’insù per contemplare le pareti tappezzate di mosaici e affreschi. La storia della salvezza cristiana scorre in coloratissime immagini, solenni e ieratiche, ricchissime di umanità e autentica tenerezza.

Avvolto in un periplo di arcate, cupole, lunette, abbagliato dall’abbondanza delle tessere d’oro dei mosaici, affascinato dal susseguirsi di episodi, di figure, di colori, il visitatore si sente trasportato in uno spazio altro.

Il programma iconografico è composto da più cicli, che incantano ma talvolta restano incomprensibili a coloro che non conoscono le storie narrate nei Vangeli apocrifi e i testi delle feste liturgiche. Si tratta di tasselli di un disegno teologico e artistico attentamente elaborato, tra i capolavori più eccezionali dell’arte e dell’architettura bizantina… a nostro giudizio il capolavoro di Bisanzio per quanto concerne i cicli musivi, una meraviglia della quale avremo la gioia di commentare molte scene.

Chi dobbiamo ringraziare per tanta bellezza? Indubbiamente i mosaicisti e gli iconografi che hanno minuziosamente dato forma a questa meraviglia

Di loro il cristianesimo bizantino non conserva i nomi, convinto sostenitore di un ruolo ecclesiale e non individuale degli artisti, al servizio dell’incontro con il divino. Sono invece spesso conservati i nomi dei committenti, grazie a iscrizioni murali e/o documenti.
Chora è il dono di Teodoro Metochita, letterato tra i più eruditi e prolifici dell’impero bizantino, esperto di finanza, uomo di stato che divenne vice-imperatore. Grazie alla sua opera, il monastero vantò la biblioteca più fornita dell’impero e la chiesa più spettacolare. Una serie di indizi ci fanno supporre che abbia discusso con i monaci sui libri da collezionare e con gli iconografi a proposito delle scene da raffigurare; possiamo immaginarlo mentre, tra il 1313 e il 1321, sorveglia il cantiere dei lavori di rinnovamento e decorazione (abitava di fronte al monastero); ci sembra di intravederlo durante le lunghe preghiere liturgiche monastiche alle quali partecipò abitualmente, in particolare le veglie notturne, negli anni della carriera politica e alla fine della vita quando divenne lui stesso monaco.

Tra i tanti episodi capaci di trasmettere forza e emozione, mi colpisce ogni volta che la osservo una scena dell’infanzia di Maria, narrata nell’apocrifo Protovangelo di Giacomo, che appartiene al ciclo che Chora dedica alla Vergine. Gioacchino ha tra le braccia la piccola figlia e la presenta ai sacerdoti, seduti attorno a un’elegante tavola, secondo uno schema utilizzato da secoli per raffigurare i tre angeli ricevuti in visita da Abramo alle querce di Mamre. I sacerdoti si girano stupiti nel vedere quell’uomo che uno di loro tempo mesi prima aveva rimproverato nel Tempio proprio per l’assenza della benedizione di figli.

Gioacchino, uomo giusto, ha vissuto l’attesa e ora porta tra le mani il miracolo. La sua fede forte e la sua correttezza, nei confronti di coloro che lo giudicavano non per le sue azioni sante ma per la mancanza di discendenza, sono un esempio ammirevole. E le sue mani ricoperte in segno di rispetto sono un indizio che Dio gli ha permesso di intuire l’eccezionale destino della bambina che offre per la benedizione, come recita l’iscrizione: ‘Ē eulógēsis tōn ieréōn.

Maria è qui la Theotokos in miniatura. Ricoperta del classico maphorion azzurro, con il capo nimbato, è serenamente accomodata tra le braccia del padre e rivolge lo sguardo ai sacerdoti che la benedicono. Questi la ammetteranno all’interno del Tempio, luogo tradizionale riservato al clero, e scopriranno che il suo destino è eccezionale: diventare «Chōra tou Achōrētou», arca e dimora dell’Incontenibile.  

Emanuela Fogliadini