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Lo stupore davanti al Verbo di Dio fatto uomo, Federico Barocci

Olio su tela, 1597, 134 × 105 cm, Museo del Prado, Madrid

Federico Barocci, nato a Urbino nel 1535 da una famiglia lombarda, è tra i principali rappresentanti del manierismo, tra Correggio e Caravaggio, nel periodo della Controriforma. La sua fu una carriera rapida e brillante, ispirata da Raffaello e ammirata da Michelangelo. Di Barocci si conservano circa duemila disegni, un numero molto più alto di tutti gli artisti a lui coevi. L’essenziale delle sue opere è di carattere religioso, volto a rendere sensibili alla presenza di Dio nel mondo visibile. La sua popolarità è legata alla sua abilità compositiva e al modo emotivo con cui tratta la luce, elemento che potrebbe aver influenzato Rubens.

La Natività, realizzata su richiesta di Francesco Maria II della Rovere (1549-1631), condottiero e duca di Urbino, ne è un esempio insigne. L’artista gioca il contrasto tra la stalla buia, una vera e propria stalla con le sue pietre vive, senza finestre né altre sorgenti di luce naturale, con il suo spazio per la paglia. In alto si intravede la rastrelliera con il fieno e di lato, appena sfiorati dalla luce, le teste del bue e dell’asino; in basso a sinistra, un sacco con del pane poggiato contro un gradino su cui è posto un cesto, una piccola natura morta che costruisce un contesto dimesso e semplice.

Da Gesù emanano dei raggi soprannaturali: egli è sdraiato sotto il bue e l’asino saggiamente disposti e pronti a riscaldarlo con i rispettivi soffi. Il Bambino non è più per terra ma nella mangiatoia: da lui proviene la luce, da chi potrà definirsi «la luce del mondo» (Gv 8,12). Maria ne è totalmente illuminata, al pari della schiena di Giuseppe e delle teste del bue e dell’asino. Il Bambino – il realismo obbliga – non è dotato di nimbo, assenza piuttosto rara, sostituita dalla luce che emana. Ha il viso rivolto verso la Madre in un gioco di sguardi che è il vero centro della composizione e del messaggio del quadro. Lo sguardo di Maria è colmo di tenerezza per il piccolo. La sua silhouette elegante, i suoi vestiti raffinati, il velo trasparente sulla testa e sulle spalle, la cura della sua capigliatura, la delicatezza del suo gesto contrastano con la povertà del luogo. La precarietà delle condizioni dove si svolge la nascita di Gesù non diminuisce la nobiltà che emana dalla coppia Madre-Figlio. Si direbbe anzi che si trasmetta al bue e all’asino la cui solennità non è banale.

Un cambiamento notevole è sopravvenuto nell’arte: esso riguarda l’atteggiamento di Maria, in questa scena, verso il Bambino. Infatti, ella è davvero ancora inginocchiata come nelle opere medioevali di fronte a suo Figlio? Non è più sicuro. Ciò che è certo, al contrario, è che il suo gesto non è più quello dell’adorazione a mani giunte: ella allarga le braccia, esprimendo accoglienza, ammirazione, stupore meravigliato, la gratitudine verso il cielo. Possiamo immaginare che la Madre reciti silenziosamente il Magnificat.

Giuseppe emerge appena nella penombra, con il mantello che cattura la luce. È girato di spalle e si dirige rapidamente, testimone stupito della Natività, verso i pastori, ancora sulla soglia della stalla, per accoglierli e indicare con il braccio teso il Bambino pregandoli di entrare. È come se Giuseppe, erede della casa di Davide, si facesse garante della protezione e vicinanza di Dio al suo popolo che culmina nell’incarnazione di Cristo, come proclama la liturgia: «Ha salvato il suo popolo tra i prodigi, il Sovrano, riducendo un tempo a terra asciutta l’umida onda del mare. Ma nascendo volontariamente dalla Vergine apre per noi un sentiero praticabile per i cieli» (Liturgia della Natività).

François Bœspflug – Emanuela Fogliadini
Da Natale nell’arte d’Oriente e d’Occidente, Jaca Book 2020